Una dura critica sociale bersaglia da tempo le pubbliche amministrazioni italiane, centrali e locali, individuate come vettore di una spesa pubblica e di molteplici oneri burocratici che il nostro sistema economico e sociale non è più in grado di sostenere. Gli amministratori pubblici e gli stessi funzionari e lavoratori sono accomunati da una chiamata in causa con argomenti spesso polemici che ne stigmatizzano i comportamenti negativi, veri o presunti.
In realtà non esiste una pubblica amministrazione come realtà omogenea e indifferenziata; esistono i diversi ministeri ed enti nazionali, le 20 regioni con tutti gli organismi collaterali, gli oltre 8000 comuni, le più di 100 province della cui abolizione si discute in modo ancora inconcludente.
Non mancano certo i casi di organizzazioni pubbliche efficienti e all’avanguardia anche per l’utilizzo di sistemi gestionali all’altezza della complessità dei rispettivi processi operativi; è il caso dell’INPS, da sempre ben attrezzato nell’informatica, ma che ha saputo gestire con continuità nel tempo i necessari processi di change management ed ha elaborato sistemi di programmazione e controllo che consentono di monitorare in modo accurato i risultati produttivi delle proprie strutture territoriali. E’ il caso di molteplici aziende sanitarie e di tanti comuni che si distinguono per la qualità dei servizi offerti. E’ il caso anche di alcune strutture militari che hanno saputo adeguare metodi operativi e stili di comando alle esigenze delle moderne missioni di pace in territori lontani.
Le professionalità manageriali e organizzative presenti nelle amministrazioni più evolute sono ormai rilevanti; da più di 20 anni si investe in questo senso con la formazione, con riforme trasversali e di settore, con normative specifiche che riguardano argomenti come la valutazione, i piani di performance, la trasparenza, la semplificazione.
La spesa pubblica però non è diminuita, la crisi ha accentuato i problemi e sempre più negli ultimi anni sono divenuti necessari provvedimenti di emergenza, che hanno preso le forme dei “tagli lineari”, della spending review, del blocco della contrattazione nazionale, di regole più stringenti per il contrasto alla corruzione, la trasparenza, i limiti a voci di spesa considerate superflue.
La tempesta normativa dell’emergenza produce regole rigide, che male si adattano alle diverse situazioni, mettono le organizzazioni sulla difensiva e finiscono per premiare la logica burocratica più di quella manageriale. Sotto questa spinta, le amministrazioni sono indotte a dedicare sempre più risorse alle funzioni di regolazione interna (di auto-amministrazione) per evitare di incorrere in sanzioni e sempre meno risorse sono destinate ai servizi che producono valore sociale e pubblico.
Ci sono ingorghi normativi da rimuovere, nodi gordiani da districare, cui non si può evitare di riportare attenzione, perché sterilizzano e bloccano le potenzialità positive sia di risparmio che di innovazione.
L’esigenza di un sistema pubblico più snello e reattivo è divenuta evidente; tuttavia stanno emergendo anche i limiti di una ricerca di efficienza ed efficacia orientata per linee verticali, che privilegia la razionalizzazione dell’assetto interno di ogni singolo ente o amministrazione rispetto a una visione sistemica e di rete, che consideri adeguatamente i rapporti di integrazione e possibile ristrutturazione per linee orizzontali.
Se le competenze e le professionalità esistono, serve un orizzonte di medio lungo periodo per mobilitarle in un processo di ridisegno complessivo e trasformazione del sistema pubblico, che non può essere limitato alla “aziendalizzazione” dei singoli enti così come sono oggi.
Nel paper “Trasformare le pubbliche amministrazioni. Per un progetto di transizione nell’orizzonte 2020” (disponibile in rete: http://www.biblio.liuc.it/liucpapersita.asp?codice=292) ho cercato di prospettare una possibile evoluzione verso un sistema di amministrazioni più snello, capace di economizzare il diretto impiego di risorse rispetto all’attuale, ma anche aperto, attento al governo delle reti che vedono una fitta connessione di attori nei processi da cui dipendono gli esiti delle fondamentali politiche pubbliche (welfare, beni culturali, educazione e formazione, sicurezza, ecc.). Al centro della proposta c’è una visione d’insieme, un’idea di fondo, che integra in un disegno coerente le idee guida fondamentali e le linee di azione operativa; alla luce di questa visione, i diversi aspetti non sono posti in sequenza come passaggi di un percorso, ma sono connessi da relazioni di tipo circolare, complementarietà e reciproca rispondenza. Alla realizzazione di questa visione sono funzionali interventi coordinati che si possono raggruppare sotto una serie di profili come: gestione della transizione, perimetro e rete istituzionale, strutture e risorse, regole, innovazione.
L’evoluzione verso PA più moderne e meno costose dipende quindi dalla capacità di affrontare contestualmente i seguenti aspetti.
LA GESTIONE DELLA TRANSIZIONE, mediante misure specificamente rivolte alla gestione dei processi di cambiamento in correlazione alla progettazione di nuovi assetti.
IL RIDISEGNO DELL'ARCHITETTURA, DELLA RETE DI ISTITUZIONI, necessario per conciliare i due obiettivi della trasformazione che rischiano di essere divergenti: ottenere economie di risorse (spendere meno) e disporre di strutture pubbliche più forti e qualificate, adatte a sostenere politiche pubbliche incisive. Questo costituisce una premessa anche per l’integrazione delle strutture operative in logica di rete.
LA RAZIONALIZZAZIONE DI STRUTTURE E RISORSE, come serie di interventi coordinati sui fattori che determinano costi e generano valore pubblico (personale, edifici, logistica, tecnologie, ecc…) e sulle strutture che li gestiscono. Questo è il complemento del riordino della rete istituzionale che ne rende effettivo il potenziale nel senso del contenimento e del migliore indirizzo della spesa, in modo anche da superare non solo i “tagli lineari”, ma anche una spending review troppo ancorata alle strutture amministrative esistenti, operando invece economie e tagli strutturali di sistema.
L’INTERVENTO SULLE REGOLE FORMALI, la cui complessità è costantemente cresciuta negli anni e rappresenta attualmente una sorta di selva inestricabile. Le diverse riforme, generali o di settore, hanno generato nel tempo una pluralità di strati sovrapposti che rendono sempre più difficile l’operato di amministratori, funzionari, interlocutori delle PA ed espongono le decisioni prese ai vari livelli a forme pervasive di contenzioso. Un intervento sul lato della legislazione e delle regole formali dovrebbe quindi focalizzarsi in primo luogo sulla chiarificazione e semplificazione, favorendo l’efficacia delle misure che hanno un più diretto impatto sulle risorse, sull’innovazione, sull’efficacia delle politiche pubbliche.
LE POLITICHE DI INNOVAZIONE, che rappresentano l’aspetto qualificante della visione di cambiamento al centro di queste proposte e possono emergere, in campi come welfare, beni culturali, educazione e formazione, sicurezza, operando sulle connessioni per linee orizzontali tra le diverse amministrazioni e strutture e sui rapporti con imprese, organizzazioni non profit ed altre espressioni della società civile. In ultima analisi, gli interventi sulla rete istituzionale, su risorse, strutture e regole sono funzionali a sbloccare l’inerzia del sistema pubblico e a liberare tutte quelle energie e competenze professionali che esistono ma sono attualmente soffocate.