La profilazione on line e tutela della privacy


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Ogni giorno di più ci si rende conto di come Internet non sia solamente uno dei tanti strumenti utilizzati per comunicare e scambiarsi informazioni, ma una parte essenziale, e forse preponderante, della nostra stessa esistenza quotidiana: il mondo virtuale ha finito per influenzare così profondamente quello reale tanto da pervaderlo, e spesso, sostituirlo.


Fino a qualche anno fa, infatti, la rete poteva ancora essere considerata una sorta di ecosistema che, pur con le sue peculiarità, dava l’impressione di essere dominabile da parte dell’utente, il quale poteva decidere di immettervi alcune informazioni, anche rilevanti, indirizzandole a terzi specificatamente identificati, generalmente raggiunti attraverso la posta elettronica, ovvero al pubblico indistinto, in tal caso diffondendo le informazioni tramite un sito web. 

Attualmente, invece, Internet va acquisendo una dimensione sempre più vasta e, sotto certi aspetti, incontrollata, anche a seguito della tendenza inarrestabile a trasferire dati, documenti e informazioni sulle “nuvole”, sedotti dagli innumerevoli vantaggi offerti: facile fruibilità, economie dei costi, maggiore efficienza dei servizi grazie alle crescente capacità di trasmissione delle reti.

Nelle nuvole vengono allocati non solo i contenuti delle nostre e-mail, ma anche le nostre banche dati, la memoria del nostro laptop, dello smartphone o del tablet. Tutto il nostro patrimonio informativo, quindi, finisce per essere sottratto alla nostra diretta disponibilità e per risiedere in server posti al di fuori del nostro controllo diretto, ma accessibili in remoto via web. 

 

Chi conserva per noi tali dati può quindi conoscere nel dettaglio come ci muoviamo nel cyberspazio, quali ricerche effettuiamo ogni giorno, come operiamo sui social network. Grazie alle elaborazioni fondate su tale conoscenza, siamo destinatari di forme mirate di pubblicità, calibrate sui nostri gusti specifici, in base ai siti che visitiamo quotidianamente. 

I sistemi di pubblicità comportamentale costruiti attraverso i c.d. cookies o le altre impronte lasciate con la navigazione telematica implicano la profilazione delle persone che operano sul web e compongono un ricchissimo pacchetto informativo, costruito riguardo ad ognuno di noi. Non solo: un interessante studio dei ricercatori dell’Università di Cambridge ha dimostrato che dai profili di Facebook –ma un discorso analogo può naturalmente essere effettuato per altri social network  è in realtà possibile ricavare ancora più informazioni delle tantissime già spontaneamente inserite dagli interessati: grazie alla frequente richiesta di esprimere le proprie preferenze su quanto visto o visitato (attraverso i “mi piace”), è stato ad esempio dimostrato che, nonostante gli interessati non avessero dato indicazioni esplicite al riguardo, è stato possibile individuare le preferenze sessuali dei singoli con una percentuale di successo dell’88%; dell’85% con riferimento all’inclinazione politica, dell’82% per quelle religiosa e del 75% con riguardo all’uso di sostanze stupefacenti. 

 

La vera ricchezza del nostro secolo si fonda dunque sulla profilazione, cioè sulla possibilità di raccogliere e collegare fra loro un numero crescente di informazioni riguardanti i singoli consumatori, al fine di ricavarne, attraverso l’utilizzo di sistemi automatizzati, modelli comportamentali. Attraverso tali dati, è infatti possibile prevedere le scelte  non solo di consumo  degli interessati, i quali tuttavia, in una sorta di circolo vizioso, vengono a loro volta influenzati dalle diverse forme di pubblicità comportamentale, le quali finiscono in tal modo per condizionarne la libertà di scelta.

In tema di profilazione, la casistica offerta dagli operatori privati e pubblici è ormai vastissima, e pone di fronte a sistemi sempre più invasivi di controllo: si va dai gestori di centri commerciali che puntano ad istallare apparati di “videosorveglianza intelligente”, in grado di registrare l’accesso e i movimenti delle persone mentre girano fra le vetrine, verificando ad esempio quanto tempo si soffermano di fronte ad ognuna di esse, così da spiarne i gusti e in qualche modo prevederne i comportamenti.

Ancora una volta, tali sistemi nascono per classificare i comportamenti delle persone e quindi prevederne quelli futuri, ma il loro crescente utilizzo finisce per influenzare gli stessi comportamenti, alla fine limitando gli spazi di libertà dei singoli.

Tali meccanismi di profilazione sono  nella logica di fondo e negli obiettivi perseguiti  analoghi a quelli utilizzati dai social network o dai grandi motori di ricerca sul web: in questi ultimi tale attività si basa su algoritmi più o meno segreti, che vengono poi utilizzati dall’operatore commerciale per effettuare forme di pubblicità mirata, al fine di indurre gli interessati ad orientarsi sull’acquisto di determinati prodotti. Se tuttavia il motore di ricerca  per ragioni commerciali o per automatismi legati all’algoritmo che lo guida  mi mostra alcuni risultati e non altri, finisce per filtrare le opzioni a mia disposizione, la mia conoscenza e, alla fine, la mia libertà di scelta. Il comportamento del singolo diventa quindi indotto, diverso da quello che assumerebbe in assenza di questi meccanismi, che incidono quindi sulla sua libera determinazione.  Tutto ciò, al fine di alimentare il circuito in base al quale chi controlla i dati, controlla la pubblicità; chi controlla la pubblicità, controlla gli acquisti; chi controlla gli acquisti, controlla la produzione, controlla l’economia. E forse anche altro.

 

Per tutte queste ragioni, la partita da giocare in ordine alla tutela dei diritti su Internet ha poco di virtuale, e molto di reale e concreto: essa riveste un’importanza strategica per le nostre libertà, ed anche per il ruolo che il nostro Paese, e più ancora l’Europa, potrà svolgere sullo scacchiere mondiale. In gioco ci sono insieme i diritti dei singoli, e le libertà collettive di chi risiede in questa parte del pianeta. 

Possiamo sperare di non uscire soccombenti da tale difficile sfida solo se riusciremo ad ingenerare in tutti la piena consapevolezza che i dati riversati in rete sono parte essenziale della nostra personalità e, per questo, una precondizione per il pieno esercizio delle nostre libertà. Hanno un valore inestimabile e non possono essere ceduti incautamente o regalati: rappresentano una ricchezza, personale e insieme collettiva. Sulla comprensione di tutto questo, e sulle azioni che saremo conseguentemente in grado di mettere in campo, si gioca oggi una partita decisiva, dalla quale dipende il tipo di società e di vita che sapremo riservarci per gli anni a venire. 

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Autore:


Giuseppe Busia (1969), ha iniziato a lavorare presso il Garante per i dati personali fin dalla sua istituzione ed ha assunto l'incarico di Segretario generale dal luglio 2012. Avvocato, ha fra l'altro conseguito il Dottorato di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate presso l'Università di Roma "La Sapienza"; il Dottorato di ricerca in Diritto dell'economia presso l'Università degli Studi di Foggia; il Diploma di primo e di secondo livello della Faculté Internationale de Droit Comparé di Strasburgo, nonché il Diploma dell'Académie Internationale de Droit Constitutionnel di Tunisi, oltre ad aver svolto corsi di master e perfezionamento presso la New York University (New York- USA), la Scuola di scienza e tecnica della legislazione (ISLE) di Roma, la LUISS Business School di Roma, l'Universitad Católica Argentina (Buenos Aires). Dal 2008 al 2012 è stato Segretario generale dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Dal 2006 al 2008 ha ricoperto l'incarico di Direttore della Conferenza Stato–Regioni nonché di Segretario della Conferenza Unificata Stato, Regioni e Autonomie locali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Nel 2006 è stato inoltre vice capo di Gabinetto del Ministero dei beni culturali. Dal 1998 al 2005 ha fatto parte dell'Autorità di Controllo Comune istituita dalla Convenzione Europol, di cui è stato vice presidente del Comitato di Appello, nonché dell’Autorità di Controllo Comune prevista dalla Convenzione sull'uso dell'informatica nel settore doganale, del quale è stato anche vicepresidente. Ha svolto e svolge attività di docenza in diverse università italiane ed è autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

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