Un passo indietro: perché è aumentata
L’aumento dell’IVA è conseguenza di una sequenza impressionante di “mancate decisioni” da parte dei tre esecutivi che si sono succeduti da giugno 2011 ad oggi.
Da oltre due anni non si è deliberato sulle riforme strutturali da apportare alle finanze pubbliche italiane.
Le norme che si sono succedute mostrano un forte legame, infatti, con l’andamento dei tassi di interesse del debito pubblico.
La nostra vicenda incomincia dall’estate 2011. Nel mese di luglio si manifestano le prime avvisaglie del “mal di spread” ovvero della crisi di sfiducia dei mercati nei confronti delle istituzioni italiane che ha portato il Paese ad un passo dalla bancarotta.
L’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, di fronte a colleghi di Governo incapaci di una reazione adeguata, aveva imposto le previsioni contenute all’articolo 40 commi 1-ter e 1-quater DL 98/2011:
- Le detrazioni fiscali (interessi su mutui, sanitarie ecc) venivano ridotte del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014 a meno che
- non si fosse provveduto al riordino della spesa sociale ed assistenziale per almeno 4 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014
Si trattava di una misura necessaria per rassicurare i mercati della buona volontà dell’esecutivo, ma con conseguenze politiche pesantissime se si fosse dovuto attuarla.
Misura rivelatasi però immediatamente insufficiente, tanto che già il 13 agosto (art.1 comma 6 DL 138/2011) gli effetti della norma sono anticipati di un anno. Per evitare il “taglio delle detrazioni” la spesa avrebbe dovuto quindi ridursi di 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e ben 20 nel 2014.
Arriviamo a novembre 2011: Berlusconi si dimette con l’Italia sull’orlo del default finanziario e si insedia l’esecutivo Monti. Con l’Art. 18 del DL 201/2011 la riduzione delle detrazioni viene sostituita con la previsione dell’aumento dell’IVA di 2 punti dal 1 ottobre 2012, e di un ulteriore 0,5% dal 2013. L’aumento interessa le due aliquote del 10 e 21%. Viene confermata la possibilità di neutralizzare l’aumento riducendo la spesa.
Nell’estate 2012 tassi e spread sono in discesa e migliorano i saldi di finanza pubblica, e si differisce l’aumento dell’IVA al 1 luglio 2013. Si riducono gli obiettivi di contenimento spesa a 6,5 miliardi nel 2013 ed inoltre l’obiettivo non viene più individuato nella sola spesa sociale, ma in un più generale riordino di spesa ed enti da attuarsi con la Legge di stabilità 2013 (ex Legge finanziaria).
Il 6 dicembre 2012 il PDL ritira la fiducia al Governo Monti e la Legge di stabilità viene approvata con un semplice contenimento dell’incremento IVA (1 solo punto) – reso possibile da tassi di interesse stabili – ma con un esecutivo dimissionario non è possibile affrontare operazioni strutturali (art. 1 comma 480 L.228/2012).
Arriviamo a giugno 2013 (DL 76/2013 art.11): l’aumento dell’IVA viene posticipato al 1 ottobre e scompare ogni impegno alla razionalizzazione della spesa (viene abrogato il comma 1-quater DL 98/2011).
Il resto è cronaca di questi giorni: l’assenza di ogni accordo sulla misure compensative, e le dimissioni dei ministri in quota PDL fanno scattare l’aumento già due volte differito.
Gli effetti dell’aumento
L’incremento si applica su tutti i beni e servizi assoggettati all’aliquota ordinaria, ora al 21%. In particolare tutti i beni non consegnati al 30 settembre e tutti i servizi non pagati o semplicemente non fatturati sono assoggettati alla nuova aliquota del 22%. Quindi anche se sono stati fatti ordini o accettati preventivi ma non si perfezionano entro il 30 settembre, viene automaticamente applicato l’aumento IVA.
L’aumento – come accennato – non riguarda tutti i beni e servizi, ne sono escluse le operazioni che beneficiano delle aliquote ridotte del 4% (elencati alla TABELLA A – PARTE II DPR 633/72), e del 10% (TABELLA A – PARTE III).
Sono esclusi dall’incremento gli acquisti di generi alimentari (tranne i beni di lusso come fois gras, aragoste, caviale, alcolici), bevande e pasti consumati in bar, ristoranti e distributori automatici, buona parte delle manutenzioni degli edifici, gas (fino a 480 metri cubi annui) ed elettricità libri e giornali (eccetto le edizioni elettroniche) ecc…
Formalmente i “soggetti IVA” (imprese, professionisti, artigiani e commercianti) hanno l’obbligo di rivalersi dell’IVA sul cliente, quindi l’aumento dovrebbe ricadere immediatamente e per intero sui consumatori. Nella realtà delle cose sono le condizioni del mercato a dettare la misura della “traslazione” dell’imposta.
In questo momento di crisi dei consumi la traslazione potrebbe quindi non essere completa. Anche artigiani, commercianti e professionisti sono però consumatori: se dovessero in parte farsi carico dell’aumento dovrebbero ridurre i propri consumi.
Il meccanismo attraverso il quale l’aumento di un tributo sui consumi influenza le decisioni dei consumatori è duplice: si indirizzano gli acquisti verso beni sostituti ad IVA ridotta, se possibile (“effetto di sostituzione”) inoltre diminuisce la capacità di acquisto complessiva, perché lo stipendio non cambia ma alcuni prezzi aumentano (“effetto di reddito”).
Esistono poi altri meccanismi che amplificano gli effetti di un aumento IVA, meno immediati, ma non trascurabili.
Ricordiamo che quasi tutta l’IVA è per i “soggetti IVA” una partita di giro, l’imposta sugli acquisti intermedi si detrae da quella dovuta sulle “operazioni attive” (vendite di beni o prestazioni di servizi) per calcolare quanto versare all’Erario. Non sempre questo meccanismo è perfettamente neutrale:
- Una serie di importanti servizi (bancari, finanziari, assicurativi, sanitari, educativi) sono “esenti da IVA”. L’esenzione comporta l’impossibilità per gli operatori di detrarre l’imposta pagata sugli acquisti, che diventa un costo. Per questi servizi è presumibile pensare un incremento dei costi in misura della maggiore IVA sugli acquisti intermedi.
- Non tutta l’IVA è detraibile per tutti gli operatori: ad esempio lo è solo al 40% per manutenzioni e carburanti per autovetture, ed al 50% per le utenze cellulari. L’effetto è simile a quanto sopra descritto
- Effetto cash flow: indipendentemente dalla detraibilità o meno passa tempo tra il pagamento degli acquisti e l’incasso delle vendite. La maggiore imposta pagata sugli acquisti, anche se non è un costo, va “finanziata” dagli operatori. E molte imprese hanno oggi problemi seri di liquidità e di accesso al credito.
Aumenti dei costi, minori consumi e minore domanda, e crescenti esigenze di liquidità possono poi mettere in seria difficoltà le imprese “marginali”, ovvero i tanti piccoli esercizi commerciali, artigiani e professionisti per i quali si pone quotidianamente il problema di garantire la “continuità aziendale”.
Un “prezzo” pesante da pagare ma la credibilità internazionale è fondamentale per un paese che ha estrema necessità di collocare sistematicamente ed a tassi accettabili i titoli del proprio debito.
Possiamo attenderci altri aumenti?
La normativa comunitaria disciplina un “sistema comune IVA”. Sono armonizzate le aliquote minime dell’imposta (15%), i beni e servizi che possono beneficiare dell’esenzione o di aliquote ridotte e molti altri aspetti.
Le agevolazioni, quindi sono possibili, non obbligatorie, ed il panorama delle aliquote è molto differenziato.
L'aliquota ordinaria varia tra il minimo del Lussemburgo (15%) ed il massimo dell’Ungheria (27%), quasi tutti i paesi applicano aliquote ridotte (5-18%) ma ben pochi applicano aliquote super ridotte (il nostro 4%).
I margini di manovra del legislatore per un incremento delle aliquote o per la revisione dei regimi agevolativi (gli attuali 4-10%) sono quindi piuttosto elevati, anche se va valutato con prudenza l’impatto sui consumi.
Gli organismi internazionali (FMI, BCE) stanno però facendo importanti (e condivisibili) pressioni sull’Italia affinché si risolva la causa scatenante della attuale instabilità finanziaria, ovvero l’elevato debito pubblico di un paese con forti problemi di crescita e competitività. Lo sottolinea Mario Monti nell’ultimo atto del suo esecutivo: il Documento di Economia e Finanza 2013.
Ma sono passati oltre due anni da quando il problema si è manifestato nella sua urgenza senza che siano state intraprese azioni decisive di riordino della spesa e la riduzione del debito.