E’ convinzione di chi scrive che sia necessario ricostruire i fondamenti di un discorso pubblico sull’evasione, per comprenderne la natura, le dimensioni e i possibili rimedi, sfuggendo, per quanto possibile, a luoghi comuni, falsificazioni e demagogie ricorrenti. Il dibattito sull’evasione è distorto da una mancata conoscenza di alcuni dati di fatto. Questi dati, ormai noti in letteratura, sono spesso – volontariamente o meno – ignorati da chi si occupa del problema e –cosa ancora più grave- da chi propone le (cosiddette) soluzioni. E’ quindi necessario riepilogarli, sebbene in modo introduttivo.
Non esiste una spiegazione omnicomprensiva dell’evasione e dei diversi livelli stimati nel tempo e nello spazio. L’evasione è un fenomeno complesso che dipende da un insieme di fattori, tra cui certamente quelli che ne determinano la convenienza e la rischiosità (aliquote, controlli e sanzioni) e quelli connessi agli aspetti morali e sociali (la tax morale, il livello di complessità del sistema fiscale, l’efficienza e l’equità della spesa pubblica).
In secondo luogo, in Italia il problema è antico ma non è vero che l’evasione nel nostro Paese sia sempre rimasta uguale nel tempo. Sebbene manchi ancor oggi una stima dell’evasione complessiva che sia regolare, affidabile ed elaborata secondo criteri condivisi, sono comunque pubblicamente disponibili delle serie storiche molto significative, perché mostrano come il livello di evasione reagisca a variabili di natura sia normativa sia politica.
Se si concentra l’attenzione sull’evasione dell’Iva e si adotta una prospettiva di medio periodo è possibile affermare che il livello del tasso di non compliance registrato dal 1999 in poi risulta significativamente inferiore a quello rilevato per gli anni 1980-1999, facendo registrare nel 2010 il minimo assoluto della serie.
Il fatto stesso che l’evasione non sia immutabile priva di fondamento l’idea che sia necessario ogni volta (cioè in ogni legislatura) ricominciare da zero identificando una bacchetta magica o una soluzione definitiva del problema. A questo genere appartiene anche la proposta di ricorrere massicciamente al cosiddetto conflitto di interessi. In sintesi, si tratterebbe di introdurre nel sistema fiscale delle detrazioni a favore di chi effettua una determinata spesa per l’acquisto di un bene o di un servizio, in modo da incentivare l’emissione della ricevuta o fattura fiscale ed evitare l’evasione da parte del fornitore del bene o del servizio. Quando le due parti di un contratto, ad esempio il proprietario di una lavatrice rotta e l’idraulico che viene a ripararla, devono decidere se emettere regolare ricevuta con IVA, entrambi hanno interesse a scegliere l’evasione. L’idraulico perché, non emettendo la ricevuta, potrà omettere il guadagno ottenuto dalla sua dichiarazione dei redditi. Il proprietario della lavatrice perché potrà evitare di pagare l’IVA. L’evasione è la logica conseguenza di questa convergenza di interessi fra le due parti. Quindi l’idea è che il proprietario della lavatrice possa detrarre la spesa sostenuta dalla propria dichiarazione dei redditi per rovesciare questa convergenza in un conflitto d’interessi: quello del proprietario della lavatrice ad avere la ricevuta per poter detrarre la relativa spesa dalla dichiarazione e quella dell’idraulico a non emettere la ricevuta per evitare di doverla dichiarare al fisco.
In realtà, se gli individui sono razionali, il conflitto di interessi può funzionare solo se il guadagno che le due parti insieme conseguirebbero in caso di evasione viene completamente annullato. Ma, dato che tale annullamento è equivalente ad un gettito nullo per lo Stato, il conflitto di interessi funziona solo se lo Stato rinuncia interamente al gettito. Il conflitto di interessi batte l’evasione su un piano morale e di giustizia redistributiva, ripristinando condizioni di equa concorrenza – l’idraulico dovrà competere con gli altri idraulici a parità di condizioni – ma non risolve il problema principale: la sottrazione di risorse allo Stato.
Piuttosto che ricorrere ad immaginarie soluzioni salvifiche, è meglio guardare alla realtà dei fatti e cercare di replicare e innovare le strategie che si sono dimostrate efficaci. Ad esempio, è sostanzialmente acclarato che l’evasione si è fortemente ridotta nella seconda metà degli anni Novanta. Un primo fattore di questa riduzione è probabilmente consistito nel più ampio ricorso alle tecnologie informatiche, che hanno reso possibile l’incrocio dei dati dichiarati al fisco in tempi brevi e che, anche grazie all’innovazione del fisco on-line, hanno generato la percezione nei contribuenti di una maggiore capillarità dell’azione di dissuasione. Secondo altri osservatori potrebbero avere avuto un peso anche la riorganizzazione dell’Amministrazione finanziaria e l’adozione del modello per Agenzia, più snello ed efficiente rispetto a quello precedente. Non manca chi sottolinea il ruolo delle innovazioni normative e delle riorganizzazioni avvenute nel settore della distribuzione. Sono solo degli esempi di politiche che andrebbero ulteriormente perseguite per ridurre l’evasione.