Con il Decreto Legge 66/2014 è stato introdotto il “bonus” di 80 € in busta paga annunciato già il 14 marzo 2014 dal Governo Renzi con le diapositive riassuntive dei desiderata del nuovo Premier conosciute come “La svolta buona”.
Si tratta di un provvedimento adottato con lo strumento tipico delle scelte d’urgenza, ed al momento provvisorio, sia per estensione e coperture, come dichiarato nell’incipit dell’Articolo 1 del Decreto: “In attesa dell'intervento normativo strutturale da attuare con la legge di stabilità per l'anno 2015”.
Il provvedimento è oggetto di polemiche, sia tra maggioranza e opposizione, sia tra Governo e Organi istituzionali (Renzi ha recentemente contestato le osservazioni del Servizio Studi del Senato in merito alle coperture finanziarie).
La misura ha il duplice scopo di incentivare la componente domestica dei consumi, che ha pagato un pesante pedaggio alla finalità di riequilibrio dei conti pubblici, e di ridurre il “cuneo fiscale” tra costo azienda e stipendio netto in busta percepito dai lavoratori.
Sono però emerse perplessità sia riguardo l’efficacia della misura, sia riguardo la sostenibilità finanziaria.
Insomma, perché la misura sia efficace e duratura la strada da percorrere sembra lunga, come la Route 66.
Lo scopo dell’intervento
L’intervento, come ben analizzato da diversi economisti è un classico esempio di redistribuzione del reddito.
In un momento in cui i consumi delle famiglie sono insufficienti a sostenere la crescita economica, vengono prelevate disponibilità da soggetti con maggiore reddito, e minore propensione marginale alla spesa (percipienti di redditi di natura finanziaria) per assegnarle a soggetti a minore reddito e maggiore propensione alla spesa.
Inoltre il provvedimento focalizza l’intervento su un segmento preciso di soggetti a minore reddito: i lavoratori dipendenti ed assimilati, con la finalità di ridurre il cosiddetto “cuneo fiscale”, ovvero la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e compenso al netto di imposte e contributi percepito dal lavoratore.
Soggetti beneficiari: un primo problema di equità
Il beneficio va a favore dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori a progetto, quindi di soggetti attivi nel mondo del lavoro, con redditi inferiori a 24.000 € e, progressivamente, si riduce a zero per i redditi di 26.000 o superiori.
Con la Circolare 8/2014 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che i redditi beneficiari sono quelli elencati all’art.50 del DPR 917/86, quindi rientrano anche i proventi sostitutivi di questi redditi, come il sussidio di disoccupazione e la cassa integrazione.
Il calcolo è basato sul “reddito complessivo” del 2014, quindi:
- La verifica della spettanza o meno del beneficio viene effettuata sul singolo contribuente
- Si tiene conto di tutti i redditi assoggettati ad IRPEF (immobili, lavoro, impresa, partecipazione in società di persone e diversi) e dei redditi da locazione con “cedolare secca”. Sono esclusi i redditi di natura finanziaria e quelli esenti da IRPEF come alcune borse di studio, e redditi da pensione integrativa, ma entra nel calcolo il reddito figurato dell'abitazione principale e da immobili sfitti ubicati nel comune in cui si risiede
È escluso dal contributo tutto il popolo delle “partite IVA”, che, come noto, comprende anche numerosi soggetti con unico committente, quindi ben poco differenti dai lavoratori dipendenti, che pure percepiscono redditi inferiori ai 24.000 o 26.000 Euro.
Profili di equità
Sono stati sottolineati, da stampa, ed esperti, diverse perplessità sulle limitazioni dei soggetti beneficiari.
Oltre al “popolo delle partite IVA”, non beneficiano del contributo i pensionati, che hanno concorso pesantemente al risanamento dei conti pubblici con l’allungamento dell’età pensionabile, e gli “esodati”.
Inoltre il calcolo basato sul singolo contribuente discrimina tra famiglie monoreddito o con più redditi, tra famiglie con una uniforme distribuzione del reddito tra coniugi e famiglie con redditi difformi (es un full time ed un part time).
In senso opposto sono avvantaggiati soggetti che beneficiano di redditi assoggettati ad imposta sostitutiva (rendite finanziarie e pensioni integrative). In particolare, i beneficiari di rendite non concorrono neppure al finanziamento del contributo quando il reddito deriva in misura preponderante da titoli di stato ed assimilati (non toccati dall’aumento dell'aliquota d’imposta dal 20 al 26%).
Insomma, anche in situazioni di pari capacità contributiva e di spesa, ma con differenti forme e distribuzioni del reddito, l’impatto del contributo risulta difforme.
Alcune sono scelte politiche, forse non chiaramente espresse, come disincentivare il fenomeno della sottoccupazione femminile e giovanile e focalizzarsi sulla popolazione attiva, altre sembrano scelte dettate soprattutto dall’urgenza di intervenire.
Focus sul problema delle “partite IVA fittizie”
Non è possibile trattare diffusamente tutti i problemi di equità del decreto. Ci focalizziamo sul popolo delle partite IVA, ed in particolare sulle “partite IVA fittizie”.
Malgrado il giro di vite della Riforma Fornero (L.92/2012), aprire partita IVA ad oggi risulta per molti giovani e per persone che hanno perduto il lavoro l’unica strada per guadagnarsi da vivere, formalmente come autonomi, nella realtà come dipendenti senza le stesse tutele.
Un piccolo esempio può chiarire. La Legge Fornero aveva introdotto nella Legge Biagi l’articolo 69-bis che assimilava a lavoratori dipendenti o assimilati i titolari di partita IVA che contemporaneamente:
- Hanno un rapporto che dura per più di 8 mesi in 2 anni
- Fatturano al committente principale almeno l’80% dei proventi
- Hanno una postazione fissa
- Hanno un reddito annuo inferiore a 19.395€ (ovvero ad 1,25 volte il reddito minimale per i contributi previdenziali di artigiani e commercianti)
Sono poi esclusi dall'assimilazione i lavoratori “ad alta professionalità”, come gli iscritti ad ordini professionali.
Ma torniamo all’esempio. Gli strumenti per evitare i vincoli della assimilazione ai dipendenti non sono pochi.
Oltre ai professionisti che lavorano in studio, con le classiche 12 fatture annue nei confronti del “dominus”, sono noti i meccanismi per eludere il dettato dell’articolo 69-bis D.Lgs 276/2003. Il più semplice è fatturare il compenso pattuito ripartendolo tra due committenti (rimuovendo il limite dell’80%).
La copertura del provvedimento – Sostenibilità della misura
Il provvedimento prevede un secondo intervento sul costo del lavoro, ovvero una riduzione dell’IRAP, tributo che grava non sul reddito d’impresa, ma sul “valore aggiunto netto”, ovvero sulla differenza tra valore della produzione (al netto degli ammortamenti) e costo del lavoro (con alcune correzioni) o, se si preferisce, su utile lordo delle imprese più costo corretto del lavoro, al netto delle componenti finanziarie e straordinarie.
Nel provvedimento è inserito un ulteriore “sblocco” per i pagamenti di crediti delle imprese verso la Pubblica amministrazione.
Al solito la valutazione di coperture ed effetti è complessa per la necessità di raggruppare provvedimenti diversi. In estrema sintesi gli “80 Euro” dovrebbero essere finanziati:
- Dall’incremento della tassazione di redditi di natura finanziaria (esclusi titoli pubblici come BTP, ecc);
- Dall’aumento dell’imposta sostitutiva dal 12% al 26% dovuta dalle Banche per la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia in loro possesso;
- Dall’IVA che verrà pagata dalle imprese che beneficeranno dello “sblocco” dei debiti della PA;
- Da riduzioni di spesa pubblica;
- Nel prossimo futuro la copertura sarà assicurata anche dalle maggiori imposte dirette ed indirette riscosse “grazie” agli 80 Euro che si presume verranno spesi integralmente dalle famiglie.
Se le coperture non dovessero essere sufficienti, è facoltà del Ministero dell’Economia e delle finanze aumentare le “accise” (imposte di fabbricazione/consumo su gas, carburanti, alcolici ecc…).
Il Servizio del Bilancio del Senato ha osservato che per il 2014 la coperta è insufficiente (sia per gli 80 Euro, sia per le altre misure), ed è previsto un maggiore deficit di 18 miliardi di Euro, finanziati con il ricorso al mercato. La copertura, secondo il Governo, si verificherà nel complesso del triennio 2014-2016.
Il contributo è destinato a divenire strutturale a condizione che si intervenga efficacemente sulla finanza pubblica negli anni a venire.
Questo è il motivo della polemica tra Renzi e Grasso, con il primo a rinfacciare un presunto “disfattismo” dei tecnici del Senato, ed il secondo a difenderne l’operato.
Le obiezioni dei tecnici ci paiono però ragionevoli e sensate: troppe le condizioni cui è soggetta la sostenibilità nel tempo della misura adottata.
Le ombre sul decreto. Effetti di traslazione.
L’efficacia della misura dipende dalla quota del contributo che rimarrà nelle effettive disponibilità dei lavoratori e che sarà spesa nei consumi.
Sotto questo profilo possiamo individuare alcune ombre che potrebbero ridurre in misura significativa il trasferimento di risorse.
La prima perplessità emerge dall’aumento dell’imposta sostitutiva a carico delle banche. Abbiamo assistito in passato a diverse traslazioni degli oneri fiscali a carico degli istituti di credito in maggiori spese di gestione dei conti correnti, o in maggiori “spread” applicati negli impieghi, quindi anche nel credito a consumo (interessi su carte revolving, ad esempio) o nei finanziamenti. Non ci sono garanzie che una parte degli “80 Euro” non finiscano a coprire i maggiori oneri tributari in capo alle banche.
Un secondo rischio è legato alla dinamica della finanza pubblica locale. Abbiamo assistito in questi anni ad un crescente peso dei tributi locali e del costo dei servizi “a domanda individuale” come, ad esempio gli asili nido .
Nel provvedimento esaminato (DL 66/2014) è previsto un concorso degli Enti locali al finanziamento dell’operazione, concorso da attuare tramite una riduzione degli “acquisti intermedi” ovvero delle forniture di beni e servizi. Per gli Enti locali che non dovessero raggiungere l’obiettivo, è previsto un corrispondente taglio dei trasferimenti erariali.
Nel recente passato abbiamo verificato come ad un taglio dei trasferimenti gli Enti locali hanno fatto fronte non tanto con razionalizzazioni della spesa, quanto con un incremento dei tributi e del costo dei servizi. È quindi concreto ed attuale il rischio che questi si approprino di parte del Bonus tramite incremento delle entrate in discorso.
Il terzo rischio è legato alle componenti flessibili del costo del lavoro, come i superminimi e piccoli benefit (es. caffè gratis) che le imprese erogano ai propri lavoratori. Gli 80 Euro potrebbero entrare nella contrattazione individuale tra azienda e lavoratori e quindi potrebbe ridursi la quota destinata ai consumi.
Il quarto rischio si rileva nel periodo di monitoraggio del decreto. La copertura immediata di disallineamenti tra entrate e spese sarà assicurata dalla possibilità di aumento delle accise. Il rischio è che un'ulteriore parte della somma sia ripresa dallo Stato italiano sotto forma di tasse sui carburanti e sul gas metano utilizzato per riscaldamento.
In sintesi non è chiara quale quota del contributo andrà ad incidere direttamente sui consumi interni, e quanta verrà invece deviata su altri soggetti, o ritornerà alle stesse casse Erariali o degli Enti locali.