La Corte Costituzionale con la sentenza n. 272 del 24 ottobre 2012 ha analiticamente motivato le ragioni della incostituzionalità dell’obbligo –in taluni specificati casi- della mediazione disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28: non si è trattato di un ‘semplice’ eccesso di delega rispetto alle indicazioni impartite al governo dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, bensì di un vero e proprio “straripamento dei poteri del legislatore delegato”, in quanto “il carattere dell’obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega”, alla luce anche delle indicazioni offerte dai lavori preparatori di quest’ultima.
Un vizio ab origine, quindi, ed in questa rivista all’entrata in vigore del decreto 4 marzo 2010, n. 28, nell’intento di indurre a ripensamenti quando ancora sarebbe stato possibile correre ai ripari, intitolavamo: “La formazione del mediatore: una pericolosa illusione; ora il paventato pericolo è divenuto realtà, ed è evidente la debolezza delle scelte patrocinate dall’allora ministro della giustizia, e –conseguentemente- del percorso formativo di questa figura professionale.
Sconfortava la mancanza di chiarezza sulla tipologia di mediatore che si intendeva delineare, l’assenza di criteri per la valutazione dell’idoneità dei partecipanti ai corsi di formazione, il ridicolo monte ore previsto, la generica ed immotivata distinzione fra docenti ‘teorici’ e ‘pratici’.
I programmi formativi, tutti omologhi, di chiaro avevano solo il costo: sovente docenti neppure accreditati secondo i pur superficiali criteri stabiliti dal ministero hanno condotto da soli l’intero corso.
Comune a quasi tutti i corsi la superficialità, né può essere diversamente, poiché la massima parte dei circa quattrocento enti di formazione accreditati altro non sono che strutture da tempo operanti in relazione alla generica formazione professionale: i corsi per mediatori si collocano, così, a fianco di quelli per estetiste o per saldatori navali che alcuna specifica competenza li caratterizzi.
Sebbene la responsabile dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia non abbia esitato a proclamare che, con la regolamentazione dello strumento della mediazione, oltre a ridurre il carico di lavoro degli organi giudiziari, si sarebbero offerte “nuove opportunità di lavoro a professionisti qualificati, siano essi conciliatori professionisti che avvocati e/o consulenti specializzati nell’assistere le parti nella procedura di mediazione”, i pochi mediatori che hanno avuto l’onore di operare per uno dei circa mille organismi di mediazione accreditati al primo impatto con le sedute di mediazione hanno maturato la consapevolezza di necessitare di un bagaglio di competenze più profonde, solide, incisive.
Il sistema, inadeguato nella sostanza, poteva reggere solo in presenza del protezionismo rappresentato da un mercato garantito ex lege anche se, ad onor del vero, pur nella breve vita di questo non si sono riscontrati dati entusiasmanti.
Dati diffusi dal Ministero della giustizia relativi ai casi di obbligatorietà del ricorso alla mediazione dati pubblicati maggio 2012, relativi al periodo 21 marzo 2011–31 marzo 2012)
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E’, comunque, misera cosa una mediazione che per accreditarsi necessita di essere imposta: una risorsa –indubbiamente- a vantaggio dell’intera collettività, necessiterebbe di ben diversi stimoli affinché i cittadini la conoscano e l’apprezzino.
Verosimilmente è difettata allo stesso legislatore, specie a quello delegato, la consapevolezza della portata innovativa della mediazione dei conflitti: è da chiedersi se il legislatore abbia considerato gli aspetti sociologici e psicologici della conflittualità, se abbia avuto presente che, talvolta, le liti mostrano l’assoluta prevalenza della irrazionalità emotiva rispetto ad ogni logica giuridica ed economica (nella prospettiva del magistrato e non senza spunti ironici, A. Converso, La mediazione conciliativa: criticità e contraddizioni, in questa Rivista, n. 3/2011, p. 50 ss.).
La creazione delle condizioni di base per il radicamento della mediazione richiede un grande impegno culturale, ma anche in questa direzione nulla di serio è stato fatto, sebbene l’art. 21 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 abbia posto a carico del ministero della Giustizia l’onere di curare “la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo”. Non può che rilevarsi come l’unica iniziativa ad oggi realizzata sia, a dir poco, sconcertante: nel website dei comunicati stampa del Governo può tuttora leggersi –sebbene il governo sia mutato- che “Per diffondere nei cittadini questa nuova cultura e abbandonare l'unica via della giustizia ordinaria, dal 5 novembre 2010 andrà in onda, sulle reti Rai, uno spot televisivo per promuovere la campagna di comunicazione fortemente voluta dal ministro Alfano e che vede come testimonial Milly Carlucci”; lo spot può essere visionato nella medesima pagina, e chiunque può, quindi, formarsi un’opinione sulla qualità e l’efficacia di siffatta comunicazione.
La decisione della Corte costituzionale non fa venir meno l’esigenza di capillari iniziative di sensibilizzazione dei cittadini sull’importanza della composizione delle liti mediante il ricorso agli strumenti alternativi alle vie giudiziarie, ma soprattutto alternativi alla logica della estremizzazione delle posizioni e della vittoria unilaterale sull’altro.
Nulla è mutato, infatti, sul piano del volontario ricorso alla mediazione e, naturalmente, su quello della cosiddetta ‘negoziazione paritetica’, indicata dall’art. 2 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 e frutto della peculiare esperienza delle associazioni dei consumatori.
E’ necessario, quindi, educare, ad ogni età ed indipendentemente dai ruoli ricoperti, il maggior numero di cittadini alla consapevolezza che negoziamo sempre, anche se non ne siamo consapevoli: programmi ad hoc dovrebbero essere inseriti in ogni fase dei curricula scolastici, di base ed universitari.
In ogni situazione, dalla più semplice a quelle più complesse, di natura tanto personale, quanto professionale, infatti ci confrontiamo con altri e conduciamo trattative, di regola senza conoscere le basi più profonde delle dinamiche relazionali e le modalità più efficaci per comunicare ed agire.
E’ auspicabile che associazioni, organizzazioni, istituzioni, si diano carico di divulgare i vantaggi per i cittadini della diffusione della pratica della mediazione nel momento storico che stiamo vivendo: oltre alle associazioni dei consumatori anche soggetti collettivi quali le organizzazioni imprenditoriali, quelle religiose, le istituzioni pubbliche, se pur da prospettive differenti, devono essere consapevoli delle opportunità dischiuse dalla diffusione degli strumenti di superamento dei conflitti economici e sociali, ancora più indispensabile in presenza della natura multiculturale della società, che ormai è una realtà imprescindibile.