Con l’ingresso in Italia anche degli ultimi brand della musica in streaming, Spotify e Rdio, che si aggiungono all’offerta già presente, si consolida l’ampio panorama di canali di accesso alla musica a disposizione dei consumatori italiani. Sono passati oltre dieci anni da quando Napster diede il via alla più grande rivoluzione tecnologica di un settore di contenuti mai avvenuta prima. Una rivoluzione sicuramente “bottom up”, di fatto per la prima volta guidata dai consumatori con lo scopo di accedere alla propria musica preferita in qualsiasi luogo, in qualsiasi istante. La necessità, condizionata proprio dai modelli di business illegali, ma molto apprezzati per la facilità di utilizzo e l’ampio repertorio, ha portato, come risposta, alla creazione di un’offerta alternativa che potesse garantire una sempre maggiore attrattiva per i fan di musica. Dopo Itunes e il modello del download alla carta, che insieme alle case discografiche offrì una prima rivoluzione, ovvero la possibilità di ottenere facilmente un singolo brano di un album al costo di un caffè, rispetto al modello mainstream dell’era CD che offriva tendenzialmente solo la possibilità di acquistare un intero album o al limite uno o due singoli, arriva la seconda rivoluzione, il video streaming di YouTube.
La piattaforma diventerà in poco tempo il juke box celestiale, o meglio, la vera televisione musicale planetaria anche qui con una caratteristica molto importante per il consumatore. YT è il primo modello di business sostenuto dalla pubblicità, e quindi gratuito per il consumatore, che offre un contenuto legale con la possibilità per la casa discografica non solo di monetizzare i video ufficiali, presenti anche sulla piattaforma Vevo e integrati in YouTube ma anche di monetizzare le utilizzazioni del repertorio su video UGC (user generated content). Un fenomeno di massa non solo utilizzato per promuovere gli artisti, ma anche per fare scouting e ricerca e sviluppo.
Oggi YouTube, dopo Itunes, è la seconda fonte di ricavi per le case discografiche in Italia. Ma la rivoluzione non finisce qui, con lo streaming nascono anche i modelli di accesso, ovvero dove possedere o ricevere in download il contenuto diventa inutile. Servizi come Deezer, Spotify, Rdio, ma anche i servizi misti come Cubomusica, giocano molto su un aspetto social, sulla discovery e sullo sharing. Finalmente, la possibilità di condividere brani, playlist ed emozioni, anche tramite social media come FB o Twitter, diventano una realtà e soprattutto sono legali.
Chiunque utilizzi questi servizi è in grado di condividere le proprie passioni musicali con amici e fan degli artisti, anche qui con modelli basati sull’advertising, quindi gratis per il consumatore, o con abbonamenti a basso costo per un accesso illimitato in media a più di 25 milioni di brani. Altri modelli interessanti riguardano la possibilità , offerta sia da Itunes, che da Google e Amazon, di disporre della propria collezione di musica su cloud, con l’opzione per potervi accedere da remoto con un qualsiasi device. Per non parlare di Itunes match, che consente di fatto di “legalizzare” la propria library di brani musicali con un costo irrisorio e poterla poi utilizzare anche aui da remoto e da ogni device.
E’ difficile quindi, di fronte a questa immensa offerta, con così diverse opzioni e caratteristiche innovative, peraltro sviluppate nell’ambito dell’attuale scenario normativo delle leggi sul diritto d’autore, che non sono assolutamente un limite allo sviluppo tecnologico, accettare un’analisi così superficiale come quella messa in campo dal Joint Research Centre della Commissione europea e citata anche nell’articolo "Per uno sviluppo adeguato dell'industria digitale dei contenuti oltre l'alibi della pirateria".
Una ricerca che intanto dimentica completamente di analizzare l’intero ventaglio di offerte oggi disponibili, si limita solo a confrontare il fenomeno della pirateria sul fronte digitale senza considerare gli effetti che invece il fenomeno ha avuto anzitutto sul mercato del compact disc dove tutte le ricerche hanno misurato effetti devastanti, solo limitatamente compensate dalla crescita del mercato legale online. Ancora oggi, nonostante il mercato legale sia cresciuto con indici a due cifre, il totale mercato è meno della metà di quello che era nel 1999.
Da rilevare anche che l’industria non ha mai considerato un download illegale come una mancata vendita ma ha sempre adottato il tasso di conversione basato di ricerche e studi internazionali che si attestavano su un circa 8 % (in Italia 10 %). Che molti utilizzatori di servizi illegali fossero anche acquirenti di musica legale è stato individuato da tempo e la stessa industria sa che vi è una certa sovrapposizione. Allo stato, è chiaro che in Italia il successo dell’offerta digitale è prima di tutto legato al tema cardine dell’innovazione strutturale.
L’Italia è agli ultimi posti per banda larga, e l’offerta mobile non è in grado ancora di garantire servizi in streaming con flat fee come nel Nord Europa che facciano della musica digitale un vero servizio di massa presente in tutte le offerte mobile. Le previsioni non possono che essere positive ma vi è ancora molta strada da fare e sicuramente il problema del ritardo strutturale è oggi più penalizzante della pirateria. Il secondo tema è il contrasto alle piattaforme illegali sostenute dalla pubblicità, che offrono contenuti abusivi in concorrenza con i servizi ufficiali. Su tale punto è assolutamente necessario che venga adottata una regolazione efficace e rapida, quindi sul piano amministrativo, come previsto da Agcom, che consenta l’effettiva marginalizzazione dell’offerta illegale.