La distribuzione dei farmaci in Italia
In virtù delle caratteristiche del prodotto farmaceutico e dei bisogni generali che è destinato a soddisfare, in Italia il servizio di distribuzione dei farmaci è un settore economico sottoposto ad una penetrante regolazione amministrativa. Le regole investono svariati ambiti tra cui: il numero e regime proprietario delle farmacie, turni e orari di apertura, il sistema di remunerazione.
Come ben evidenziato in una ordinanza del TAR della Lombardia (TAR 896/2012), il diritto pubblico regola, non solo sul versante quantitativo, stabilendo dall’alto un rapporto “legale” tra domanda ed offerta, ma anche su quello soggettivo, riservando ai soli farmacisti la possibilità di intraprendere l’attività di distribuzione dei farmaci. I farmacisti restano una delle poche professioni per le quali è prescritta non solo la necessità del conseguimento di un titolo di studio abilitativo ma anche la pianificazione territoriale della relativa attività.
L’attuale disciplina della distribuzione territoriale delle farmacie deriva dalla legislazione pre-repubblicana. La riforma “Giolitti” del 1913 riconosceva all’assistenza farmaceutica la natura di attività primaria dello Stato esercitata dalle farmacie comunali o dai privati con concessione governativa. Per garantire la distribuzione capillare delle farmacie sul territorio nazionale, evitando la concentrazione nelle sole zone più popolose ambite sotto il profilo commerciale, veniva predisposta la cosiddetta “pianta organica”.
Gli sviluppi normativi successivi hanno sostanzialmente riproposto il modello di distribuzione esistente. In ogni comune la pianta organica fissa il numero massimo delle farmacie, le zone d’insediamento, la distanza minima tra le stesse. Il regime della pianificazione si basa sul rapporto numerico tra esercizi e utenti. In questa epoca era prevista la presenza di 1 farmacia ogni 4.000 abitanti nei comuni con più di 12.500 abitanti e di 1 farmacia ogni 5.000 abitanti nei comuni con meno di 12.500 abitanti, salvo eccezioni dovute alla particolare conformazione geomorfologica del territorio e alle distanze tra comuni.
La classificazione dei farmaci
I farmaci sono classificati come segue:
a) farmaci essenziali e per malattie croniche (a totale carico del Servizio sanitario nazionale);
b) [categoria soppressa]
c) altri farmaci privi delle caratteristiche indicate alle lettere a e b ad eccezione dei farmaci non soggetti a ricetta con accesso alla pubblicità al pubblico a carico del cittadino;
c-bis) farmaci non soggetti a ricetta medica con accesso alla pubblicità (OTC) a carico del cittadino.
Altra importante distinzione attiene alla necessità o meno della ricetta medica: medicinali con prescrizione medica, con prescrizione medica da rinnovare volta per volta a prescrizione medica speciale, a prescrizione medica limitativa, non soggetti a prescrizione medica, inclusi i medicinali da banco o di automedicazione.
Il primo passo in avanti: la concessione alle parafarmacie di vendere i farmaci non soggetti a prescrizione a cura di un farmacista abilitato
Un notevole cambiamento è intervenuto con l’entrata in vigore Decreto legislativo 223/2006 (“decreto Bersani”), che ha previsto che le parafarmacie possano vendere al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della Salute e alla Regione e nell'ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l'assistenza personale e diretta al cliente di uno o più farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed iscritti all’ordine dei farmacisti.
Il Decreto Bersani finiva per confermare il principio tradizionale per il quale la vendita dei farmaci, nessuno escluso, doveva avere necessariamente luogo alla presenza e con l'assistenza personale e diretta al cliente di uno o più farmacisti iscritti al relativo ordine.
Il secondo passo in avanti: la concessione alle parafarmacie di vendere anche i farmaci di fascia C con obbligo di prescrizione
Un altro recente intervento normativo è costituito dal d.l. 201/2011 che consentiva la vendita dei farmaci di fascia C (a carico dei cittadini e per i quali permane obbligo di ricetta), salve poche e ben individuate eccezioni, anche nelle parafarmacie e negli esercizi commerciali della medesima tipologia.
La vendita di farmaci con obbligo di ricetta non era più appannaggio esclusivo delle farmacie, ma era aperta anche alle parafarmacie e ad altri esercizi commerciali, corner e grande distribuzione, ovviamente alla presenza e con l'assistenza personale e diretta al cliente di un farmacista abilitato all'esercizio della professione.
Il terzo passo, questa volta indietro: l’introduzione di un elenco di farmaci non vendibili nelle parafarmacie
Con l’introduzione di questa norma una serie di proteste si sono levate da parte delle associazioni di categoria dei farmacisti che, a tutela degli interessi economici dei loro appartenenti.
In sede di conversione la lobby dei farmacisti ebbe il sopravvento. La norma venne perciò modificata prevedendo il cosiddetto delisting, sicché nelle parafarmacie possono essere venduti senza ricetta medica anche i medicinali di fascia C ma con alcune eccezioni di prodotti inclusi in un elenco (n.230 farmaci) per i quali permane l’obbligo di ricetta medica e dei quali non è consentita la vendita nelle parafarmacie.
I benefici dalla liberalizzazione e la battaglia delle associazioni di consumatori
La classe dei farmaci di fascia C comprende circa 3.800 medicinali (tra cui farmaci di largo consumo come Aulin, Tavor, Viagra, Yasmin) che insieme ai medicinali da banco rappresentano circa il 30% dell’intero mercato farmaceutico italiano. In Italia oggi le parafarmacie sono circa 4mila.
La discriminazione tra farmacie tradizionali e parafarmacie è stata di recente stigmatizzata anche dalla Commissione europea nel contesto più ampio di un documento del febbraio 2012 “The economic packages of 20 and 27 January 2012: an assessment” nel quale si schiera apertamente a favore della liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C.
Alcune associazioni di consumatori, tra cui Altroconsumo, conducono, da tempo, una serrata battaglia per la “liberalizzazione” della vendita dei farmaci di fascia C, per i quali permane l’obbligo di ricetta medica, anche nelle parafarmacie e nei corner salute degli ipermercati, con presenza obbligatoria del farmacista. La discriminazione attualmente esistente in danno delle parafarmacie a tutto vantaggio delle farmacie tradizionali, lede in modo ingiustificato ed irragionevole gli interessi dei consumatori. Non v’è dubbio, infatti, che l’inserimento nel mercato di ulteriori operatori economici consentirebbe per tali tipi di farmaci una dinamica dei prezzi che andrebbe a tutto vantaggio dei consumatori, che sono gli unici chiamati a sostenerne l’onere. (cfr. Tar Calabria, Reggio Calabria, ord. 9 maggio 2012, n. 333).
Rivedere le regole di distribuzione dei farmaci di fascia C con obbligo di ricetta, con possibilità di vendita anche di questi ultimi nelle parafarmacie e nei corner salute dei supermercati e ipermercati, insieme a un monitoraggio costante dei prezzi, renderebbe la vendita dei farmaci finalmente aperta e trasparente in linea con le osservazioni della Commissione Europea sulle scelte del governo italiano nel 2012 in relazione al decreto “cresci-Italia”, creando un’opportunità di risparmio concreto per i cittadini, che sono chiamati a sopportare integralmente il costo di detti farmaci.
Da qui l’interesse di Altroconsumo che, è recentemente intervenuta in giudizio, per il tramite di chi scrive, dinanzi al TAR Emilia-Romagna, a supporto del ricorso presentato da un gruppo di farmacisti titolari di parafarmacie nei confronti del Ministero della Salute, degli enti locali nonché dell’Agenzia Italiana del Farmaco, rispetto all’ottenimento di un titolo che li abiliti alla vendita dei farmaci di fascia C per i quali permane ancora l’obbligo di ricetta medica, con rimessione della materia al giudizio della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il ricorso segue la scia di altri ricorsi presentati in altre sedi da titolari di parafarmacie e a seguito dei quali, in alcuni casi, il TAR ha deciso di rimettere alla Corte di Giustizia Europea la norma italiana che vieta la vendita dei farmaci di fascia C, ritenendola lesiva della concorrenza. In particolare, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, a seguito di un ricorso presentato da un titolare di parafarmacia, ha deciso di rimettere al giudizio della Corte di Giustizia Europea la norma italiana in quanto contraria al diritto dell'Unione Europea.
La decisione è stata ripresa e integrata da altri Tribunali Amministrativi Regionali a Catania e Reggio Calabria.
L’auspicio, è che se la controversia verrà risolta in senso favorevole alle parafarmacie, anche gli altri medicinali con obbligo di ricetta possano essere dispensati presso le parafarmacie che a questo punto saranno equiparabili alle farmacie vere e proprie seppur non convenzionate.