Con la Comunicazione Energia 2020, “Una strategia per l’energia competitiva sostenibile e sicura”, le istituzioni dell’Unione europea hanno scommesso sull’energia ricavata da fonti rinnovabili.
Prima della ‘rivoluzione’ delle fonti rinnovabili, le reti energetiche si distinguevano nettamente dagli altri tipi di reti (di telecomunicazione, di trasporti etc.) per il fatto che, mentre queste sono ‘multidirezionali’, quelle energetiche, invece, trasportano energia prevalentemente ‘a senso unico’ dal produttore al consumatore. Con l’impiego delle fonti rinnovabili (si pensi, anzitutto, al fotovoltaico) il consumatore può diventare un protagonista attivo del risparmio energetico, in quanto, per la parte eccedente il suo consumo domestico, egli diventa, a sua volta, un produttore di energia da ‘trasferire’ alla collettività.
Peraltro, l’effettiva implementazione delle fonti rinnovabili ha richiesto rilevanti incentivi pubblici, in mancanza dei quali il consumatore rischierebbe di subire un aumento consistente della bolletta energetica, frustrando così l’obbiettivo di accompagnare il risparmio energetico ad un risparmio economico. Per questa ragione, per sostenere la diffusione dell’energia da fonti rinnovabili, la normativa europea stabiliva che gli Stati membri dovessero prevedere un contributo speciale a carico delle imprese che consumano più energia (c.d. energivore).
Il 9 aprile 2014 la Commissione europea ha approvato le nuove “Linee guida per gli aiuti di Stato nel settore dell'energia 2014 – 2020".
Un provvedimento solo in apparenza di carattere tecnico ma che, a leggere attentamente tra le righe, sembra segnare un rilevante cambiamento della politica energetica europea, che avrà inevitabilmente ripercussioni anche nel nostro Paese e specialmente sugli utenti finali.
In primo luogo, viene prevista l'esenzione parziale o, in certi casi, perfino totale dal pagamento del contributo speciale dovuto al sostegno alle rinnovabili da parte delle imprese “ad alta intensità energetica”, cioè quelle che consumano energia con costi superiori al 10% del loro fatturato lordo (in via esemplificativa si indicano comparti industriali, quali: attività minerarie, trasformazione di alimenti e bevande, attività manifatturiere riguardanti tessili, cuoio, legno, carta, farmaceutici, plastica, vetro, ceramica, alluminio, rame e altri metalli, chimica e raffinerie, petrolio e gas, combustibili nucleari). La riduzione del contributo alle fonti rinnovabili viene giustificata con l’esigenza di sostenere l’industria energetica europea nella sempre più agguerrita competizione globale.
In secondo luogo, la Commissione prefigura una sostanziale armonizzazione ‘al ribasso’ dei diversi sistemi nazionali di sostegno alle rinnovabili, in vista di un loro graduale superamento. A partire dal 2016 il sistema delle tariffe “feed-in”, che garantisce un prezzo remunerativo con contratti di lungo termine per l’elettricità generata con fonti verdi (“tariffe in conto energia”), verrà sostituto da un sistema di “feed-in premiums”, con una formazione dei prezzi legata all’andamento del mercato (saranno esclusi i piccoli impianti: fino a 3 MW per l'eolico e a 500 kW per le altre rinnovabili). Gli incentivi statali, inoltre, non saranno più concessi a chiunque ne faccia richiesta, ma saranno gradualmente sostituiti da procedure di gara simili a quelle degli appalti pubblici (“competitive bidding processes”). “È tempo per le energie rinnovabili di entrare nel mercato”, ha dichiarato il vice presidente della Commissione, responsabile delle politica di concorrenza, Joaquín Almunia.
In terzo luogo sarà anche possibile finanziare con fondi pubblici i cosiddetti “capacity mechanisms”. Si tratta di sovvenzioni statali volte a garantire la “sicurezza degli approvvigionamenti” per le imprese che ricavano energia da fonti rinnovabili come tali soggette ad impreviste interruzioni di corrente. Tali sovvenzioni erano, in particolare, concesse dal Governo tedesco alle proprie imprese siderurgiche ed erano state oggetto di un lungo negoziato con la Commissione che le riteneva in contrasto con il “divieto degli aiuti di Stato” alle imprese private (art. 107 TFUE). Queste sovvenzioni ora consentite, entro certi limiti, dalla Commissione (addirittura retroattivamente) sono ovviamente solo un’opzione, non un obbligo per gli Stati membri; ma è chiaro che pochi Paesi lasceranno le proprie industrie esposte al ‘dumping energetico’ dei paesi vicini, e tutti tenderanno ad uniformarsi al sistema tedesco.
La politica europea in tema di mercato interno dell’energia è da considerarsi in stretto legame con quella sulle sfide climatiche al 2030, tradottasi all’inizio dell’anno in concreti e ambiziosi obbiettivi di riduzione di emissioni di CO2 (-40% su base nazionale) e di maggiore ricorso a fonti rinnovabili (+27% a livello UE). Ma proprio qui l’Europa sembra voler lanciare un messaggio: le rinnovabili saranno sì il futuro energetico dell’Europa, a condizione che d’ora in poi sappiano ‘camminare’ da sole. Tutto ciò non sarà senza conseguenze sugli utenti finali. Infatti, vi è il rischio che in alcuni Stati membri aumenti in modo rilevante la fattura energetica per i consumatori, in considerazione, da un lato, della progressiva riduzione degli incentivi pubblici alle fonti rinnovabili, e, dall’altro, del rischio che lo tesso consumatore venga chiamato a compensare, di ‘tasca propria’, il mancato contributo alle energie rinnovabili delle industrie energivore.