La notizia che il gruppo Ferrovie dello Stato, forse l’azienda pubblica maggiore del paese, dagli investimenti e dai servizi del quale dipende circa l’1% del Pil, sarebbe prossima alla Borsa non ha fino ad ora sollevato alcun dibattito. La ragione di questo scarso interesse va ricercata nell’idea corrente che la quotazione possa essere un esito scontato del processo di trasformazione in società per azioni e nella correlata posizione che vede le ragioni di interesse pubblico già adeguatamente tutelate dalla recente istituzione di un’autorità indipendente di regolazione del settore e dalla individuazione di specifici obblighi di servizio pubblico da regolare e finanziare nei contratti di servizio.
Nel valutare l’opportunità di questo passaggio, che indubbiamente allontanerebbe ancora di più questa grande impresa pubblica dalle sue ragioni istituitive, va considerato in primo luogo che essa si inserisce in una più articolata e complessa strategia di scelte aziendali che appaiono orientate esclusivamente ai profili economici e finanziari. Mi riferisco allo studio della possibilità di cedere alcuni asset importanti come l’intera rete elettrica al servizio dei binari ed anche della stessa società del gruppo che possiede ed amministra le grandi stazioni.
La mia opinione al riguardo è che manchi, in questi indirizzi, un’adeguata considerazione dell’interesse non dello Stato azionista, ma dello Stato comunità, cioè dei cittadini. Premesso che trovo fuorviante e riduttiva la tesi che le esigenze sociali (ad esempio quelle di promuovere la coesione territoriale) possano essere esclusivamente salvaguardate dagli obblighi di servizio pubblico, inseriti nei contratti di servizio stipulati dalle regioni per i trasporti sulle tratte di media e corta percorrenza e dallo Stato per alcuni (sempre meno) treni che percorrono le tratte più lunghe. E che di contro tutti gli altri servizi (o treni), ed in primo luogo quelli dedicati all’alta velocità in quanto resi dall’azienda di stato in regime di concorrenza con altro operatore, e quindi “a mercato”, debbano essere sottratti ad ogni logica ed indirizzo di carattere sociale. Questa rigida impostazione, forse utile per l’applicazione di regole e principi della concorrenza, non trova rispondenza in alcun dato normativo, né comunitario né nazionale. Per quanto riguarda il contesto dell’Unione europea basti richiamare l’art. 14 del Trattato, che è assolutamente chiaro nell’impegnare le istituzioni comunitarie e gli Stati membri a far sì che i servizi di interesse economico generale “funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere i propri compiti” e l’art. 106, comma 2, secondo cui anche le aziende pubbliche sono sottoposte alle regole concorrenziali, ma “nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di fatto e di diritto, della specifica missione loro affidata”. Se poi si tiene ancora conto che “la lotta all’esclusione sociale” è uno degli obiettivi fondanti l’Unione (art. 9 dello stesso Trattato), non par dubbio che l’orientamento alla salvaguardia dei diritti sociali, in ogni campo dell’economia e della società, rappresenti un valore ed un indirizzo di fondo dell’ordinamento comunitario. Il che è stato ben colto anche dalla nostra Corte costituzionale nella sentenza relativa ai servizi idrici (la n. 24 del 2011) nella quale ha affermato che il diritto europeo non impone processi di privatizzazione. Nell’ordinamento interno il riferimento principale è certamente all’art. 43 della Costituzione nella quale è contenuta quella previsione, certamente significativa, della possibilità non solo della riserva originaria in capo allo Stato delle imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio e che abbiano carattere di preminente interesse generale, ma anche che si disponga il loro trasferimento, in ipotesi, anche a “comunità di lavoratori e di utenti”. Espressione che dà immagine e sostanza allo Stato comunità e che pone l’utente in una prospettiva di controllo immediato e diretto dell’impresa che gli rende il servizio. Siamo quindi del tutto all’opposto della marginalizzazione cui si trova oggi l’utente dei servizi ferroviari, in particolare di quelli artatamente definiti “a mercato”, ove vengono messi in discussione tutti i canoni tradizionali del servizio pubblico (accessibilità, doverosità, continuità, parità di trattamento, universalità). Non pare infatti trovare alcuna giustificazione che sol perché quella specifica tipologia di treni (ad AV) è messa in servizio anche da operatori privati che lo Stato non possa e non debba metterli a disposizione (o pretendere che lo siano) a condizioni socialmente utili ed accettabili, coprendo con sovvenzioni i maggiori costi di queste scelte. Del resto i costi di questa infrastruttura (le nuove linee ad AV) sono state finanziate dallo Stato con i proventi della fiscalità generale e non è certo legittimo che le utilità che da esse derivano vadano ad esclusivo beneficio di poche migliaia di viaggiatori, residenti nelle città maggiori.
L’orientamento di tutti i servizi ferroviari, indipendentemente dal livello di qualità o di apertura alla concorrenza, alle esigenze della coesione sociale e territoriale, attuerebbe il principio in base al quale nei settori in cui l’attività economica deve essere principalmente orientata ad assicurare il benessere dei cittadini e a superare le diseguaglianze, le esigenze strettamente economiche devono per forza recedere. Quindi ogni proposta o progetto nel settore delle ferrovie, che è il prototipo del servizio pubblico essenziale anche quando i treni corrono ad alta velocità (essendo indimostrato ed indimostrabile che i cittadini abbiano un diritto “sociale” solo ad accedere a treni lenti e sporchi), deve rispondere alla domanda: quali i vantaggi per i cittadini-utenti? Per ora i paladini della quotazione in borsa appaiono essere le banche ed i consulenti finanziari, in sostanza coloro che mirano a restringere il più possibile il concetto stesso di servizio pubblico, perché in fondo non c’è nulla che faccia guadagnare di più che un bel monopolio privato, libero da lacci e lacciuoli, soprattutto quanto tutti i c.d. asset sono stati già ampiamente pagati dai contribuenti. Pensiamo proprio al primo gioiello che verrebbe sacrificato al dio mercato: le linee elettriche che corrono sopra tutti i binari e che sono parte integrante dell’infrastruttura ferroviaria. Sono state pagate dallo Stato e quindi finanziate dai cittadini. Ora sono ampiamente ammortizzate e nessun costo, salvo quelli relativi alla manutenzione, si riflette sulle tariffe. Venissero cedute, per il loro utilizzo il nuovo proprietario pretenderà un canone (sempre che sia legittimo in presenza del vincolo legale di destinazione) e questo costo farà lievitare senz’altro il costo dei biglietti. In pratica pagheremo una seconda volta per usare quello che è già nostro!
Un ultimo accenno alla nuova Autorità: nelle recenti norme istitutive (art. 37 D.L. n. 201/2011) il profilo della tutela dell’utenza e della regolazione anche in funzione degli interessi generali appare quasi in secondo piano rispetto alla regolazione pro-concorrenziale. Va però evidenziato che viene mantenuto un richiamo generale alla legge n. 481 del 1995, il cui art. 1, comma 1, contiene una chiara indicazione nel senso che i servizi regolati restano “servizi di pubblica utilità” per i quali la promozione della concorrenza e dell’efficienza deve accompagnarsi alla tutela di consumatori e di utenti, “assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale” e pervenendo ad un sistema tariffario che “deve altresì armonizzare gli obiettivi economici-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse”. Come si vede una missione gravosa ed orientata ad una pluralità di interessi e di valori: è bene che l’Autorità lo tenga ben presente e non si autolimiti ad un ruolo “pro-mercato”. In questo potrebbe essere aiutata da un coinvolgimento strutturale dei cittadini-utenti e delle loro rappresentanze organizzate, riscoprendo il valore della partecipazione quale elemento basilare della connotazione del servizio pubblico.